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Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei

Indice articolo

Rimodulato sui nuovi spazi che l’accolgono e impreziosito da ulteriori prestiti, il racconto della natura nei suoi vari aspetti, in stretto rapporto con l’intervento dell’uomo, si arricchisce di un percorso all’interno dell’area archeologica pompeiana, dove sono stati risistemati o ripristinati gli spazi verdi di antiche domus.

mito e natura

Il progetto espositivo è promosso dalla Soprintendenza Pompei e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli con la casa editrice Electa, curato da Gemma Sena Chiesa, Angela Pontrandolfo e Valeria Sampaolo per la sede napoletana e da Massimo Osanna, Grete Stefani e Michele Borgongino per Pompei.

In questa tappa della mostra non solo affreschi, oggetti preziosi come argenterie e gioielli, statue, terrecotte e vasi raccontano la percezione della natura nel modo greco e romano tra l’VIII sec. a.C. e il II d.C., ma è possibile riscontrare la forte ricerca di unità fra architettura, pitture e la sistemazione degli spazi verdi. Spiega Massimo Osanna: “L’aspetto dei giardini che questa Soprintendenza vuole offrire ai visitatori con i recenti restauri e la conseguente riapertura al pubblico, è un’interpretazione dei luoghi per come essi dovevano essere all’epoca della loro realizzazione”.

Comporre giardini era una vera arte, in stretto dialogo con le pareti affrescate e gli oggetti che arredavano gli ambienti. A Pompei, in occasione della mostra, tutto questo è finalmente percepibile in un nuovo itinerario di visita con tappa in cinque domus: Praedia di Iulia Felix e le case di Loreio Tiburtino, della Venere in conchiglia, del Frutteto e di Marco Lucrezio su Via Stabiana riaperte grazie ai restauri eseguiti nell’ambito del Grande Progetto Pompei, cui si aggiunge il già visitabile giardino della Casa degli Amorini dorati.

All’inedito percorso si aggiunge la sezione Natura morta, allestita nella Piramide all’interno dell’Anfiteatro. È questo un genere che ha origine nel mondo ellenistico-romano con la rappresentazione di frutti e animali. Gli affreschi con queste raffigurazioni, staccati in passato e conservati al Museo di Napoli, ritornano per la prima volta a Pompei proprio come semi, frutta e pani restituiti nella loro integrità dalla cenere che li coprì dopo l’eruzione del 79 d.C. esposti insieme agli intonaci dipinti in un gioco di rimandi tra la natura raffigurata e i suoi modelli reali.

Il paesaggio, Il giardino incantato, La natura coltivata dono degli dèi, Lo spazio della natura e La natura come segno sono i temi illustrati da circa 100 reperti archeologici esposti nella grandiosa Sala della Meridiana, per la sezione della mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Tutti soggetti che, oltre a illustrare il rapporto dell’uomo antico con l’ambiente, consentono un focus sulla produzione artistica magno greca e in generale dell’Italia meridionale, ellenistica e romana.

“La mostra, nata da un rigoroso progetto scientifico, non si presenta come fine a se stessa, ma è stata l’occasione di valorizzazione di molti reperti, di solito non esposti nel Museo di Napoli, ed uno stimolo per riaprire, in via definitiva, gli storici giardini del palazzo, per offrire al pubblico un’esperienza sempre più gradevole di fruizione e di visita”, precisa Paolo Giulierini, direttore del museo di Napoli, dove in questa occasione anche i due giardini interni tornano a fiorire e in quello orientale, in particolare, sarà ricostruito il giardino romano, con un ombreggiante pergolato di viti e rose e frammenti scultorei. Sarà esposto inoltre nel Portico XLV, prospiciente il giardino occidentale, una parte del Ninfeo marittimo di Massa Lubrense interamente ornato con motivi floreali e faunistici e riccamente decorato di pasta vitrea e marmi policromi.

Per questa tappa della mostra Mito e Natura Electa ristampa il catalogo con saggi d’approfondimento di autori internazionali e con oltre 200 illustrazioni delle opere, arricchendolo con testi inediti dedicati all’arte dei giardini nelle case pompeiane e alle aree verdi ricomposte per questo nuovo appuntamento.

Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei

Sedi e date di apertura al pubblico
Scavi di Pompei, Anfiteatro – Piazza Anfiteatro
16 marzo – 15 giugno 2016

Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Piazza Museo 19
16 marzo – 30 settembre 2016

a cura di
Massimo Osanna, Grete Stefani, Michele Borgongino
mostra a Pompei

Gemma Sena Chiesa, Angela Pontrandolfo, Valeria Sampaolo
mostra a Napoli, MANN

promossa da
Soprintendenza Pompei
5 Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Organizzazione, comunicazione e catalogo
Electa

orari
Scavi di Pompei, Anfiteatro
aperto tutti i giorni
dal 16 marzo al 31 marzo dalle 9.00 alle 17.00 (ultimo ingresso alle 15.30) dal 1 aprile al 15 giugno dalle 9.00 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 18.00) chiuso 1 maggio

Museo Archeologico Nazionale di Napoli
aperto tutti i giorni, dalle 9.00 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 19.00)
chiusura settimanale: martedì chiuso 1 maggio

biglietti
Scavi di Pompei
intero 12 euro — ridotto 6,50 (dal 16 marzo al 15 aprile 2016)
intero 13 euro — ridotto 7.50 euro (dal 16 aprile al 15 giugno 2016)

Museo Archeologico Nazionale di Napoli
intero 13 euro — ridotto 9 euro

informazioni
www.mostramitonatura.it #MitoeNatura


In un dipinto datato 1524, eseguito durante il soggiorno alla corte di Alfonso I d’Este, Dosso Dossi realizza l’enigmatica tela Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, oggi conservata nelle collezioni del Castello di Wawel a Cracovia. Nell’opera, dalla complessa iconografia, l’artista vuole rappresentare l’ozio creativo del dio, riprodotto mentre dipinge i delicati e bellissimi insetti dalle ali variopinte, simbolo dell’eternità, ma anche della fugacità della vita e del cambiamento continuo che regola le leggi naturali. Alle sue spalle la muscolare figura di Mercurio, con il petaso alato e il caduceo nella mano sinistra, protegge la creazione divina, e azzittisce la concitata Virtù venuta per riportare Giove alle sue attività. Il quadro di Dosso Dossi racconta, con gli straordinari mezzi della maniera cinquecentesca, il contrasto fra vita pubblica e vita privata del principe rinascimentale, sovrapponendosi a quella di Alfonso I d’Este, di cui riprende sommariamente i tratti somatici nella figura di Giove; ferrato alchimista, il sovrano scelse il pittore di corte come fedele sodale di ricerche esoteriche, evocate nel dipinto.

L’immagine del dio, colto mentre imita l’universo vivente nel suo infinito mutare, identificato nel volo delle farfalle, vuole introdurre il tema della mostra: la rappresentazione della natura nel mondo antico, fra evocazione della protezione divina sugli uomini nel mondo greco e raffinata espressione della cultura figurativa romana.
L’evento espositivo curato da Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo traccia con grande coerenza questo percorso tematico, offrendo una lettura inedita delle complesse trasformazioni che fra l’ottavo secolo avanti Cristo e il primo dopo, hanno mutato, non solo l’immagine della natura nell’arte, ma anche,
9 e in maniera radicale, il rapporto degli uomini con la terra. Pur non potendo mai parlare di paesaggio, termine che emerge nel mondo tardomedievale, prima come attributo della ricchezza comunale, poi come simbo-
lo del rapporto fra realtà fisica e filosofica, la natura nel mondo antico (o dovremmo forse dire mondi visto l’ampio arco cronologico coperto dalla mostra?) rappresenta il teatro dove si svolgono le azioni degli uomini, in un rapporto speculare con quelle degli dèi, ma allo stesso tempo è la potenza da cui si genera tutto. Nei miti cosmogonici della Grecia antica l’universo precede gli dèi, immortali ma non eterni: un mondo senza demiurgo, ove la genesi, concepita in forma di racconto poetico, ha una dimensione naturale e fisica (nel senso greco del termine). In Omero è Okéanos che, insieme a Téthys, dà origine al mondo e a tutti gli esseri, siano animali, uomini o dèi (Iliade, XIV). Nella cosmogonia dettata da Esiodo tra fine ottavo e settimo secolo avanti Cristo, la più diffusa in Grecia, sono all’opera tre potenze che insieme concorrono alla nascita del mondo: Chaos (Abisso), Gaia (Terra) ed Eros (Amore). Con l’apparizione di Amore, dal Chaos na scono la Notte e il Giorno, dalla Terra vengono generati – per una sorta di partenogenesi – Ouranos (Cielo), Ourea (Montagne) e Pontos (Mare), dando vita agli elementi essenziali del paesaggio terrestre. Da qui in poi, si manifestano le differenziazioni sessuali e viene introdotto il concetto di fecondità: la cosmogonia diventa una genealogia, con nascite e lotte per la supremazia sino al regno, sempre attuale, di Zeus.
Con la sovranità di Zeus, la natura viene a riflettere le volontà, anche discordanti, delle divinità, come Atena e Poseidone che si contendono il protettorato dell’Attica e si confrontano, opponendo la forza del mare al bene indispensabile dell’ulivo. La natura è il dono degli dèi e rappresenta il segno tangibile delle loro indicazioni, ma anche della loro rabbia e dei limiti che essi impongono alla hybris degli uomini. Le arpie che aggrediscono i marinai e le tempeste che fanno affondare le imbarcazioni si contrappongono senza soluzione di continuità alle immagini celebrative di una natura produttiva e fertile, protetta, fra gli altri, da Demetra e Dioniso.
Preziose corone d’oro con foglie e bacche intrecciate, provenienti dalle sepolture di Verghina, accompagnano i re macedoni nel viaggio nell’aldilà; nel decoro dipinto sulle facciate delle tombe a camera, scene di caccia mostrano il principe impegnato nella lotta simbolica fra la natura selvaggia, rappresentata dalle fiere, e la forza “etica” dell’uomo, protetto dagli dèi. Le corone, veri capolavori dell’oreficeria antica esposti nel percorso della mostra, ratificano il rapporto simbolico, spesso drammaticamente contrastato, che unisce gli esseri viventi.
Il ruolo simbolico della rappresentazione della natura si trasforma nel mondo romano, divenendo un raffinato motivo ornamentale per ampie scene dipinte ad affresco nelle dimore più lussuose dell’impero. Dalla celebre sala della villa di Livia ad gallinas albas, a nord della capitale, alle pareti di saloni e cubicoli delle case di Pompei, la rappresentazione dei giardini in straordinari trompe-l’œil – vere e proprie Pareti ingannevoli, come scrive Salvatore Settis in un suo brillante saggio – offre allo spettatore l’immagine di un’eterna primavera, dove la natura è controllata, ordinata dal lavoro meticoloso e instancabile dei maestri dell’opera topiaria, descritta da Plinio. Nel suo Court traité du paysage, edito a Parigi nel 1997, il filosofo e paesaggista francese Alain Rogers definisce con il termine “artialisation” il percorso che lega lo sguardo sul mondo reale all’immagine che di questo offre l’arte. La natura rappresentata nelle decorazioni delle lussuose ville delle élites, dai deliziosi giardini ai paesaggi nilotici, lontanissimi dalla realtà geografica dei siti rappresentati, ci restituisce con eccezionale immediatezza non solo l’arte raffinatissima dei romani, ma anche la loro percezione dell’universo vivente, fra sacralità e delizia, spazio dell’otium dove si evoca il grande teatro del mondo.
Per restituire il valore emblematico della natura nel mondo antico, sono presentati in questa mostra anche frutti e pani provenienti da Pompei, conservati dalle ceneri vulcaniche dell’eruzione del 79 d.C., commovente testimonianza di quanto il cibo sia parte integrante delle radici culturali dell’uomo contemporaneo. Documenti straordinari questi che raccontano meglio di ogni trattato (si pensi tra le altre notizie alle indicazioni di Columella sulle cipolle pompeiane, o di Plinio sul cavolo di Pompei) la dieta “vegetariana” che nelle città vesuviane si giovava di una natura ferace, resa quanto mai feconda proprio dallo “sterminator Vesevo”. I resti vegetali recuperati nelle città vesuviane comprendono cetrioli, cipolle, fave, cicerchie, fagioli, lenticchie e ceci. Reperti questi che hanno destato meraviglia e curiosità già nei visitatori settecenteschi, se si pensa che nel “Gabinetto dei Preziosi” dell’Herculanense Museum allestito da Carlo di Borbone nella Villa Reale di Portici, in quattro armadi della sala che conteneva anche suppellettili di grande pregio (oreficerie, argenterie, gemme e cammei) venivano presentati già i materiali organici, tra cui tessuti e commestibili vari, dal pane alla frutta. I reperti seguirono il destino di tutta la collezione e furono trasferiti a Napoli, dove a partire dal 1816 si diede origine al Real Museo Borbonico. Furono qui nuovamente esposti in una sezione che riproponeva il nome di “Gabinetto degli oggetti preziosi”, in una “Stanza de’ cammei, pietre incise, oggetti di oro, argento, pitture antiche, musaici, commestibili ecc.”.
I reperti saranno a lungo al centro dell’interesse dei visitatori (“le quali cose tutte sono lo stupore e la
10 compiacenza degli eruditi osservatori”, G. Finati, 1817), esposti con varie risistemazioni fino all’ultimo allestimento nella sala del grande plastico, per essere poi purtroppo riportati in deposito dal 1989. Parallelamente a questa esposizione esisteva una sezione a Pompei nell’Antiquarium voluto da G. Fiorelli nel 1873, dove non poteva mancare una scelta di commestibili carbonizzati, tra cui cereali, fave, olive, fichi, noci, uova, oltre a 81 pani recuperati nel forno del pastificio di Modestus. La sorte di questa importante esposizione seguì la vicenda dello sfortunato edificio, prima bombardato nel 1943 e poi fortemente danneggiato dal terremoto del 1980 (e chiuso fino a oggi). I reperti non dispersi sono confluiti nel 1994 in locali climatizzati realizzati nell’an-tica direzione costruita nell’Insula Occidentalis da G. Fiorelli e qui sono ancora conservati, nel Laboratorio di Scienze Applicate.
Nell’ambito della mostra “Mito e Natura”, la Soprintendenza Pompei si è impegnata non solo con i prestiti di opere d’arte, manufatti e materiale organico, ma anche mettendo in programmazione una seconda tappa dell’esposizione, che avrà luogo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e negli scavi di Pompei, dove si allestiranno per l’occasione giardini e spazi naturali, riproponendo un paesaggio perduto che a Pompei come in nessun altro luogo può essere ricostruito con facilità, grazie agli straordinari resti paleobotanici o ai calchi di radici, diffusamente realizzati in passato. Per l’occasione saranno così riaperti al pubblico alcuni dei più celebri giardini delle domus pompeiane, come quello di Ottavio Quarto, grazie agli accurati restauri realizzati nell’ambito del Grande Progetto Pompei. Un ambizioso progetto riguarda anche il laboratorio dove sono conservati i reperti organici, destinato a divenire, oltre che centro di ricerca che ospita studiosi internazionali, un museo dove saranno esposti al pubblico gli straordinari materiali ora fruibili solo da specialisti, in particolare quei prodotti della natura che erano di uso comune nella cucina di prima età imperiale, a Pompei come nell’impero: cereali e legumi (farro, orzo, favino, veccioli, lenticchie), ortaggi e frutta (cipolle, melograni, fichi, noci, datteri).
Ambito di ricerca dove la natura è percepita nella sua dimensione estetica e il paesaggio interpretato come memoria fisica della storia, la mostra, nelle sue diverse sedi di Milano, Napoli e Pompei, offrirà una lettura unica della natura nel mondo classico: visione cosmogonica e mitologica, e insieme spazio vivo, palpitante della vita degli uomini.

Massimo Osanna, Direttore Generale Soprintendenza Pompei

Ultima modificaLunedì, 10 Ottobre 2016 23:55
  • Data inizio: Mercoledì, 16 Marzo 2016
  • Data fine: Venerdì, 30 Settembre 2016
  • Evento a pagamento:

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