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Joan Miró Materialità e Metamorfosi

Organizzata da Fundação de Serralves – Museu de Arte Contemporânea, Porto, Joan Miró: Materialità e Metamorfosi riunisce ben ottantacinque tra quadri, disegni, sculture, collages e arazzi, tutti provenienti dalla straordinaria collezione di opere del maestro catalano di proprietà dello Stato portoghese.

Nella sua esplorazione della materialità, Miró fu eguagliato forse solo da Paul Klee. Di certo Miró allargò in maniera decisiva i confini delle tecniche di produzione artistica del Ventesimo secolo.
E il percorso espositivo, focalizzandosi sulla trasformazione dei linguaggi pittorici che l’artista catalano iniziò a sviluppare nella prima metà degli anni Venti, documenta le sue metamorfosi artistiche nei campi del disegno, pittura, collage e opere di tappezzeria.
L’emozionante sequenza di opere proposta dalla mostra, evidenzia il pensiero visuale di Miró, il modo in cui egli ha saputo lavorare con tutti i sensi, dalla vista al tatto, ed esplora, al contempo, i processi di elaborazione delle sue creazioni.

L’importante Collezione Miró che debutta a Padova ha una storia recente piuttosto fortunosa. Le opere, furono di proprietà del Banco Português de Negociós, che tra il 2004 e il 2006 le aveva acquistate da una importante collezione privata giapponese. Il Banco nel 2008 venne nazionalizzato dallo Stato portoghese che, in fase di forti difficoltà economiche, decise di mettere sul mercato la prestigiosa Collezione. Incaricata della vendita fu Christie’s che, nel 2014, decise di porla all’asta presso la sua sede di Londra.
Ciò ha portato a una protesta immediata, e l’asta è stata prima rinviata e poi cancellata, così le opere di Miró sono rimaste in Portogallo. Sono state esposte pubblicamente per la prima volta al Museo Serralves di Porto, tra ottobre 2016 e giugno 2017, in una mostra che ha avuto oltre 240.000 visitatori, un evento che si è dimostrato essere una delle mostre di maggior successo della recente stagione espositiva portoghese. Prima di raggiungere Padova, la collezione è stata ospitata anche dal Palazzo Nazionale Ajuda a Lisbona con lo stesso titolo, Joan Miró: Materialità e Metamorfosi.

La mostra che Palazzo Zabarella propone al suo pubblico, copre un periodo di sei decenni della carriera di Joan Miró, dal 1924 al 1981. Concentrandosi in particolare sulla trasformazione dei linguaggi pittorici che l’artista catalano iniziò a sviluppare nella prima metà degli anni Venti. Documenta le sue metamorfosi artistiche nei campi del disegno, pittura, collage e opere di tappezzeria. Il pensiero visuale di Miró, il modo in cui lavora con i sensi, dalla vista al tatto, e i processi di elaborazione delle sue opere si osservano nel dettaglio.
Nel corso della carriera, Joan Miró (1893-1983) ribadì sempre l’importanza della materialità come fondamento della propria pratica artistica. Ciò non significa che i materiali gli imponessero tutti gli aspetti della raffigurazione: in diversi momenti egli produsse elaborati bozzetti preparatori anche per le opere più spartane e apparentemente spontanee. Ma è fuor di dubbio che il rapporto tra mezzo e tecnica abbia influito su tutti gli aspetti della sua produzione, dai primi quadri e collages fino agli ultimi lavori sotto forma di sculture e arazzi.

L’inventario dei supporti fisici utilizzati da Miró in settant’anni di attività artistica comprende materiali tradizionali, come tela (montata su telaio o meno, strappata, logorata o perforata), diversi tipi di carta da parati, pergamena, legno e cartone (ritagliato e ondulato), ma anche vetro, carta vetrata, iuta, sughero, pelle di pecora, fibrocemento, ottone, truciolato, Celotex, rame, foglio di alluminio e carta catramata.
I materiali – che instaurano sempre un equilibrio delicato con il supporto – includono olio, colori acrilici, gessi, pastelli, matite Conté, grafite, tempera all’uovo, gouache, acquerello, vernice a smalto, inchiostro di china, collage, stencil e dacalcomanie. Applicati in maniera innovativa su basi sia tradizionali che poco ortodosse: gesso, caseina e catrame, talvolta combinati con una eclettica gamma di oggetti comuni e materiali quotidiani, come linoleum, corda e filo.

Nel duplice ruolo di artefice e trasgressore della forma del modernismo del Ventesimo secolo — pittore e antipittore al tempo stesso — Miró sfidò il concetto stesso di specificità del mezzo, come questa ampia rassegna ha il merito di evidenziare in modo spettacolare.

Miro apparition

Joan Miró: Materialità e Metamorfosi raccoglie ottantacinque tra quadri, disegni, sculture, collages e arazzi provenienti dalla straordinaria collezione di opere del maestro catalano di proprietà dello Stato portoghese. Fulcro della mostra, che spazia lungo sei decenni di attività, è la naturalezza fisica dei supporti impiegati dall'artista, nonché l'elaborazione dei materiali come fondamento della pratica artistica. Nella sua esplorazione della materialità, in cui fu eguagliato forse solo da Paul Klee, Miró allargò in maniera decisiva i confini delle tecniche di produzione artistica del Ventesimo secolo.
Oltre a questa esplorazione dei materiali, egli sviluppò un linguaggio dei segni innovativo, che modificò il corso dell'arte moderna. In un processo di trasformazione morfologica, nell'arte di Miró gli oggetti assurgono allo status di segni visivi: negli arazzi le matasse di filo possono sostituire schizzi di colore; il fil di ferro dei primi collages rappresenta spesso la linea disegnata; talvolta la carta riformula le caratteristiche fisiche della tela in quanto supporto. In senso molto lato, la morfologia è il principio operativo del lavoro di Miró: tutto è in uno stato di flusso e cambiamento permanenti, man mano che l'artista esplora le possibili equivalenze tra i mezzi. Ma sebbene la morfologia si definisca come una variazione della forma, della sostanza e della struttura fisiche, non è tuttavia nella scienza o nella biologia che vada cercata la chiave interpretativa dell'arte di Miró, bensì nella trasformazione e nella logica interna dei suoi metodi di lavoro. Nel duplice ruolo di artefice e trasgressore della forma del modernismo del Ventesimo secolo — pittore e antipittore al tempo stesso — Miró sfidò il concetto stesso di specificità del mezzo.

Nel 1974 il Grand Palais presentò a Parigi una grande retrospettiva dell'opera di Miró. L'artista, che aveva iniziato a concepire questa mostra sei anni prima, aveva concordato che la metà dei lavori esposti dovesse essere recente. Tra il 1968 il e 1974 Miró si dedicò alla preparazione dell'evento, sperimentando equivalenze tra diversi mezzi: pittura e collage, pittura e scultura, pittura e arazzi.
Nei due anni precedenti l'esposizione Miró produsse trentatré oggetti, noti collettivamente sotto il nome di Sobreteixims, o "sopratessuti". Contrariamente a quanto accade nella fabbricazione tradizionale di arazzi, tali nuovi lavori non riproducevano modelli preesistenti, ma erano stati concepiti come oggetti indipendenti, attribuendo così grande autonomia all'arazzo in quanto mezzo. Lavorando in stretta collaborazione con Josep Royo, un giovane tessitore di talento, Miró spinse i limiti della propria pratica artistica verso nuove frontiere. Da una parte la materialità inconfutabile dei Sobreteixims equipara questi ultimi alla sua pratica del collage, in cui oggetto e sfondo si trovano spesso in tensione. Dall'altra i Sobreteixiins sono oggetti a sé stanti, che si pongono in tal modo in relazione con la pratica scultorea dell'artista nel combinare e riconfigurare materiali ritrovati dopo essere stati scartati e privati della funzionalità e identità originarie. Esplorando l'idea della trasposizione metaforica, Miró fece sì che oggetti banali come secchi, feltro o gomitoli di filo assumessero

Seguitando a lavorare nella fabbrica abbandonata di farina dove aveva prodotto tanti Sobreteixinis, Miró spinse ancora più lontano la propria pratica. In un atto di distruzione che era al tempo stesso un atto di creazione e di trasformazione, tagliò e bruciò cinque nuove tele, in un'operazione orchestrata di caos controllato. Le cinque Tele bruciate che ne derivarono furono esposte al Grand Palais nel 1974. Seguendo le istruzioni dell'artista, due di esse furono appese al soffitto, in modo da essere visibili sia davanti che dietro.
Miró concepì le Tele bruciate come un attacco al corpo stesso dell'arte: alle sue qualità decorative, al suo valore di scambio come oggetto di lusso, alla sua sacrosanta purezza. Arrivando a sfidare la propria disinvoltura come maestro della forma e della tecnica, Miró consentì al fuoco di determinare la traiettoria della propria arte in un processo di trasmutazione alchemica. Misurandosi con la vista e con il tatto, con l'osservazione a distanza e con l'esperienza della prossimità fisica, egli rinnovò la propria arte e la espanse muovendo dal suo interno.

A partire dal 1924 Miró mise a punto un innovativo linguaggio dei segni che trasformò la sua arte. In termini generali un segno è un sostituto, una rappresentazione di un oggetto assente, di un'idea o di un concetto. Nel reinventare la propria pittura alla stregua di un'operazione linguistica, Miró cominciò a pensare alla superficie pittorica come a uno spazio destinato a segni e iscrizioni, comprese linee, parole e lettere. Per l'artista, per quanto il segno fosse polivalente e aperto a molteplici interpretazioni, il significato era spesso condizionato dal contesto: una ballerina spagnola, un paesello, una donna a passeggio per le ramblas di Barcellona, e così via. Talvolta Miró esplorò il territorio dei pittogrammi e degli ideogrammi, aprendo il linguaggio a tutto il potenziale della significazione. Talaltra ricorse a sistemi di segni già esistenti, al solo scopo di destabilizzarli o di inserirli all'interno di sistemi secondari di senso. Pur corteggiando l'astrazione, peraltro senza mai spingersi completamente verso la non-oggettività, i segni di Miró emergono come suggestivi grafismi il cui significato sembra potenzialmente sospeso.
Negli anni 1950 e '60 il linguaggio dei segni dell'artista si fa sempre più rudimentale. Alcune linee sommarie sono sufficienti a definire il movimento nel campo visivo. Un segno può delineare lo spazio e il carattere fisico del proprio supporto, allo stesso modo in cui può definire un oggetto o configurare una forma di scrittura criptica. Riducendo il linguaggio alle sue componenti, Miró esplorò gli elementi della costruzione del significato.

Il cambiamento della realtà che aveva caratterizzato i dipinti e i disegni dell'artista intorno al 1924 costituì un elemento essenziale della trasformazione formale della sua arte e delle pratiche metaforiche da essa generate. Nei decenni 1920 e '30 Miró sottopose la figura a un processo di distorsione e metamorfosi che sfidò i limiti dell'anatomia umana: le forme vengono dilatate; gli attributi sessuali esagerati; il corpo stesso si trasforma in un preannuncio del grottesco. Ciò appare con la massima evidenza nella serie di disegni realizzati presso la Académie de la Grande Chaumière a Parigi. Adottando pose codificate ormai da lungo tempo all'interno delle tradizioni accademiche, i modelli vengono sottoposti a deformazione. Man mano che lo strumento di disegno si muove senza sforzo sulla pagina, l'atto di trascrizione dell'artista è già un atto di traduzione e di interpretazione. I corpi si sforzano di rimanere all'interno dei limiti della carta; le membra si gonfiano e cedono intorno alle articolazioni; la carne è cascante o corrugata sullo scheletro senza il minimo tentativo di idealizzazione.
Nel 1929 Miró adottò la metamorfosi come tema della propria arte in una serie di quattro "Ritratti immaginari", tra cui La Fornarina (D'après Raphaél) [La Fornarina (da Raffaello)] è quello di dimensioni maggiori. Prendendo come modello un ritratto del maestro rinascimentale italiano di una donna a lungo ritenuta la sua amante, Miró purifica gradualmente l'episodio visivo fittamente riempito dell'immagine raffaellesca: il corpo della Fornarina viene semplificato in una voluminosa massa scura; la testa e il petto si riducono a protuberanze bulbose; il turbante, le cui estremità annodate sono tradotte in piccole corna, è notevolmente esagerato; l'occhio, infine, assume una fantastica configurazione di pesce. Anche sottili particolari, come i pezzetti di cielo che si intravedono attraverso il fogliame nel ritratto di Raffaello, sono rivisitati da Miró in una serie di schizzi rossi a destra della figura rappresentata. In una serie di schizzi preparatori l'artista andò sempre più deformando il modello visivo man mano che si distanziava dall'aneddoto. In uno di questi schizzi Miró scrive, in francese, le parole "trop en pensant en mes choses précédentes" [pensando troppo alle mie cose precedenti] e "trop réaliste encore" [ancora troppo realistico]. Nel sovvertire il concetto tradizionale di ritratto come similitudine, Mirò inette alla prova i confini della mimesi.

Nel decennio 1930 il principio della metamorfosi acquisisce un'impellenza politica nell'arte di Miró. Mentre l'Europa e il mondo si preparano alla guerra, egli dà forma a un universo di creature spaventose. Dotate di colli talmente esili da sembrare incapaci di sostenere il peso di quelle teste dilatate, le figure gesticolano in uno spazio aperto, come oppresse da forze su cui non possono esercitare alcun controllo. In altri lavori è la grezza materialità del supporto a dare origine alla raffigurazione, la cui aspra fisicità sfuma in un'incipienza di erotismo.
La violenza inflitta in questi lavori da Miró alla propria figurazione rappresentava un percorso di rinnovamento. Il sollievo si trasformava in poesia — in senso tanto letterale che metaforico — quando l'artista ricorreva al lirismo per attenuare la materialità bruta in una nuova serie di quadri realizzati su Celotex. La ruvida texture di questo agglomerato di fibre industriali forniva all'artista un degno avversario della propria visione trascendente in Le Chant des oiseaux à l'aittonme [Il canto degli uccelli all'autunno], la cui forza deriva dal contrasto tra lirismo e materialità, tra un supporto insistentemente fisico e il desiderio di evasione poetica.

Miro Nature morte papillon

Tra la metà di luglio e la metà di ottobre del 1936 Miró realizzò una serie di ventisette lavori intitolati semplicemente "Dipinti" ed eseguiti su masonite, un materiale di fabbricazione industriale. Descritta dal suo biografo Jacques Dupin come una superficie «a metà strada tra terracotta e paglia pressata, appiattita e leggermente carbonizzata», la masonite è un supporto particolarmente implacabile. In almeno la metà dei lavori di questa serie Miró intervenne sul lato ruvido delle lastre, evitando di lisciarne la superficie. Su questo sfondo rugoso applicò colori a olio e a smalto, caseina, catrame, sabbia e perfino sassi, sfidando apertamente il lirismo poetico che aveva ricercato in altri lavori. In varie occasioni arrivò a scartavetrare e perforare le superfici, ribadendo il carattere di oggetto del supporto. Nell'insieme i dipinti su masonite sembrano volersi sottrarre alla figurazione. Le forme superano i propri contorni; l'applicazione del colore è sommaria e grossolana; il senso oscilla verso la soglia dell'illeggibilità. Realizzati all'inizio della guerra civile spagnola, i dipinti racchiudono una violenza estetica che è metafora di collasso sociale.

Come d'abitudine Miró lavorava i mezzi in maniera trasversale. Gli effetti raggiunti nell'acquaforte e nell'acquantinta furono trasposti ai lavori in inchiostro di china su carta e inchiostro di china e acquerello su tela. In realtà gran parte del lavoro di fine anni Quaranta e del decennio 1950 è mosso da una forte spinta grafica, ispirata agli effetti innovativi ottenuti come incisore. Nelle ottanta xilografie realizzate per illustrare il libro il toule épreuve, di Paul Éluard, Miró diede prova di grande sensibilità verso le caratteristiche fisiche del proprio mezzo, consentendo alle venature naturali del legno di rimanere visibili. E proprio come era accaduto con il linguaggio dei segni, passibile di essere combinato in variazioni interminabili, la pratica grafica di Miró comportava frequentemente di voltare, ridipingere e/o ricombinare singole lastre per instaurare nuovi e produttivi dialoghi formali.
In quei due decenni, man mano che esplorava nuove tecniche, Miró prestò sempre maggior attenzione al procedimento, che acquisì un'importanza nuova all'interno del suo lavoro. Tra febbraio 1947 e aprile 1959 l'artista compì tre viaggi negli Stati Uniti, rimanendo profondamente segnato dall'espressionismo astratto. Al tempo stesso proseguì la consueta permanenza a Parigi, dove assistette all'esplosione dell'arte informale e della pittura materica. Entrambi i movimenti produssero una forte ripercussione sul suo approccio all'arte. Buona parte del lavoro di questo periodo è caratterizzata da un nuovo lirismo gestuale, in cui i processi lavorativi dell'artista nello stabilire il supporto danno origine al suo repertorio di immagini.
A metà degli anni 1960 nell'arte di Miró ricompare la griglia come agente strutturante visibile, armatura attraverso la quale l'artista manteneva al loro posto le forme. Nelle opere tardive la griglia emerge talvolta come elemento pronto all'uso; talaltra compare come struttura secondaria che si estende su tutta la superficie della pagina o della tela, assumendo un'identità descrittiva sotto forma di una scala che finge anche da reticolo. In alcuni disegni o dipinti tardivi la griglia è talmente sottile da risultare quasi impercettibile; tuttavia è presente e svolge il ruolo che le è stato assegnato. In questi lavori figura e sfondo — segno, superficie e supporto — sono talmente equilibrati che rimangono solo schegge di oggetti, frammenti di esseri nello spazio.
La figura è lo sfondo; è una condizione della trama strutturale che la definisce e la supera. Nell'opera tardiva di Miró la figurazione non è solo struttura: è un supplemento richiamato dallo sfondo, nel quale crolla.

I Sobreteixims del 1972-'73 sono divisi in due gruppi: arazzi sospesi e Sobreteixims sacs [Sobreteixims sacchi]. Questi ultimi, per un totale di quattordici oggetti, non sono veri e propri arazzi. In realtà il supporto strutturale è costituito da sacchi da farina abbandonati, ai quali Miró aggiunse successivamente una serie di materiali: feltro, lana, filo, corda e, in due lavori, anche le scope che erano state utilizzate durante la realizzazione. Questi oggetti e materiali eterogenei sono cuciti ai sacchi, ai quali è anche applicato il colore acrilico, che dialoga con le stampe e i marchi preesistenti sulla loro superficie: Miró espande la pratica del collage in senso tridimensionale. Ovunque sono presenti analogie antropomorfiche. Sobreteixim sac 14 costituisce un'eccezione all'interno della serie, dal momento che invece di un sacco Miró utilizzò un pezzo di legno galleggiante come supporto fisico. Sovrastato da un panno di feltro, l'oggetto fa pensare a una presenza umana, forse un contadino catalano con la sua barretina rossa, tradizionale copricapo di lana di quella regione.

Info e prenotazioni: www.zabarella.it tel. +39 049 8753100

Orari
dal martedì alla domenica, dalle 9.30 alle 19.00 (la biglietteria chiude alle 18.15)
Chiuso il lunedì
Aperture straordinarie: 1 aprile, 2 aprile, 25 aprile, 30 aprile, 1 maggio, 2 giugno

Biglietti
Intero: € 13,00
Ridotto: € 11,00 (Over 65 anni, giovani dai 18 ai 25 anni, visitatori diversamente abili o con invalidità, componenti di un gruppo)
Ridotto speciale: € 7,00 (Ragazzi dai 6 ai 17 anni)
Ridotto scuole: € 6,00 (Scolaresche accompagnate)
Biglietto Aperto: € 16,00 (biglietti acquistabili via internet o alla biglietteria, fino a 48 ore prima della data di utilizzo, consente di visitare la mostra senza necessità di definire data e fascia oraria precise).
Ingresso gratuito: Bambini fino ai 5 anni compiuti (non in gruppo scolastico), giornalisti con tesserino, accompagnatore di visitatore diversamente abile.
Le tariffe ridotte/gratuità vengono applicate presentando un documento, tessera o badge che attesti il diritto alla riduzione/omaggio.

Prenotazione
€ 1,50 a persona (obbligatoria per gruppi e scolaresche)

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Ultima modificaDomenica, 03 Giugno 2018 18:33
  • Data inizio: Sabato, 10 Marzo 2018
  • Data fine: Domenica, 22 Luglio 2018
  • Evento a pagamento:
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