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Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei

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In un dipinto datato 1524, eseguito durante il soggiorno alla corte di Alfonso I d’Este, Dosso Dossi realizza l’enigmatica tela Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, oggi conservata nelle collezioni del Castello di Wawel a Cracovia. Nell’opera, dalla complessa iconografia, l’artista vuole rappresentare l’ozio creativo del dio, riprodotto mentre dipinge i delicati e bellissimi insetti dalle ali variopinte, simbolo dell’eternità, ma anche della fugacità della vita e del cambiamento continuo che regola le leggi naturali. Alle sue spalle la muscolare figura di Mercurio, con il petaso alato e il caduceo nella mano sinistra, protegge la creazione divina, e azzittisce la concitata Virtù venuta per riportare Giove alle sue attività. Il quadro di Dosso Dossi racconta, con gli straordinari mezzi della maniera cinquecentesca, il contrasto fra vita pubblica e vita privata del principe rinascimentale, sovrapponendosi a quella di Alfonso I d’Este, di cui riprende sommariamente i tratti somatici nella figura di Giove; ferrato alchimista, il sovrano scelse il pittore di corte come fedele sodale di ricerche esoteriche, evocate nel dipinto.

L’immagine del dio, colto mentre imita l’universo vivente nel suo infinito mutare, identificato nel volo delle farfalle, vuole introdurre il tema della mostra: la rappresentazione della natura nel mondo antico, fra evocazione della protezione divina sugli uomini nel mondo greco e raffinata espressione della cultura figurativa romana.
L’evento espositivo curato da Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo traccia con grande coerenza questo percorso tematico, offrendo una lettura inedita delle complesse trasformazioni che fra l’ottavo secolo avanti Cristo e il primo dopo, hanno mutato, non solo l’immagine della natura nell’arte, ma anche,
9 e in maniera radicale, il rapporto degli uomini con la terra. Pur non potendo mai parlare di paesaggio, termine che emerge nel mondo tardomedievale, prima come attributo della ricchezza comunale, poi come simbo-
lo del rapporto fra realtà fisica e filosofica, la natura nel mondo antico (o dovremmo forse dire mondi visto l’ampio arco cronologico coperto dalla mostra?) rappresenta il teatro dove si svolgono le azioni degli uomini, in un rapporto speculare con quelle degli dèi, ma allo stesso tempo è la potenza da cui si genera tutto. Nei miti cosmogonici della Grecia antica l’universo precede gli dèi, immortali ma non eterni: un mondo senza demiurgo, ove la genesi, concepita in forma di racconto poetico, ha una dimensione naturale e fisica (nel senso greco del termine). In Omero è Okéanos che, insieme a Téthys, dà origine al mondo e a tutti gli esseri, siano animali, uomini o dèi (Iliade, XIV). Nella cosmogonia dettata da Esiodo tra fine ottavo e settimo secolo avanti Cristo, la più diffusa in Grecia, sono all’opera tre potenze che insieme concorrono alla nascita del mondo: Chaos (Abisso), Gaia (Terra) ed Eros (Amore). Con l’apparizione di Amore, dal Chaos na scono la Notte e il Giorno, dalla Terra vengono generati – per una sorta di partenogenesi – Ouranos (Cielo), Ourea (Montagne) e Pontos (Mare), dando vita agli elementi essenziali del paesaggio terrestre. Da qui in poi, si manifestano le differenziazioni sessuali e viene introdotto il concetto di fecondità: la cosmogonia diventa una genealogia, con nascite e lotte per la supremazia sino al regno, sempre attuale, di Zeus.
Con la sovranità di Zeus, la natura viene a riflettere le volontà, anche discordanti, delle divinità, come Atena e Poseidone che si contendono il protettorato dell’Attica e si confrontano, opponendo la forza del mare al bene indispensabile dell’ulivo. La natura è il dono degli dèi e rappresenta il segno tangibile delle loro indicazioni, ma anche della loro rabbia e dei limiti che essi impongono alla hybris degli uomini. Le arpie che aggrediscono i marinai e le tempeste che fanno affondare le imbarcazioni si contrappongono senza soluzione di continuità alle immagini celebrative di una natura produttiva e fertile, protetta, fra gli altri, da Demetra e Dioniso.
Preziose corone d’oro con foglie e bacche intrecciate, provenienti dalle sepolture di Verghina, accompagnano i re macedoni nel viaggio nell’aldilà; nel decoro dipinto sulle facciate delle tombe a camera, scene di caccia mostrano il principe impegnato nella lotta simbolica fra la natura selvaggia, rappresentata dalle fiere, e la forza “etica” dell’uomo, protetto dagli dèi. Le corone, veri capolavori dell’oreficeria antica esposti nel percorso della mostra, ratificano il rapporto simbolico, spesso drammaticamente contrastato, che unisce gli esseri viventi.
Il ruolo simbolico della rappresentazione della natura si trasforma nel mondo romano, divenendo un raffinato motivo ornamentale per ampie scene dipinte ad affresco nelle dimore più lussuose dell’impero. Dalla celebre sala della villa di Livia ad gallinas albas, a nord della capitale, alle pareti di saloni e cubicoli delle case di Pompei, la rappresentazione dei giardini in straordinari trompe-l’œil – vere e proprie Pareti ingannevoli, come scrive Salvatore Settis in un suo brillante saggio – offre allo spettatore l’immagine di un’eterna primavera, dove la natura è controllata, ordinata dal lavoro meticoloso e instancabile dei maestri dell’opera topiaria, descritta da Plinio. Nel suo Court traité du paysage, edito a Parigi nel 1997, il filosofo e paesaggista francese Alain Rogers definisce con il termine “artialisation” il percorso che lega lo sguardo sul mondo reale all’immagine che di questo offre l’arte. La natura rappresentata nelle decorazioni delle lussuose ville delle élites, dai deliziosi giardini ai paesaggi nilotici, lontanissimi dalla realtà geografica dei siti rappresentati, ci restituisce con eccezionale immediatezza non solo l’arte raffinatissima dei romani, ma anche la loro percezione dell’universo vivente, fra sacralità e delizia, spazio dell’otium dove si evoca il grande teatro del mondo.
Per restituire il valore emblematico della natura nel mondo antico, sono presentati in questa mostra anche frutti e pani provenienti da Pompei, conservati dalle ceneri vulcaniche dell’eruzione del 79 d.C., commovente testimonianza di quanto il cibo sia parte integrante delle radici culturali dell’uomo contemporaneo. Documenti straordinari questi che raccontano meglio di ogni trattato (si pensi tra le altre notizie alle indicazioni di Columella sulle cipolle pompeiane, o di Plinio sul cavolo di Pompei) la dieta “vegetariana” che nelle città vesuviane si giovava di una natura ferace, resa quanto mai feconda proprio dallo “sterminator Vesevo”. I resti vegetali recuperati nelle città vesuviane comprendono cetrioli, cipolle, fave, cicerchie, fagioli, lenticchie e ceci. Reperti questi che hanno destato meraviglia e curiosità già nei visitatori settecenteschi, se si pensa che nel “Gabinetto dei Preziosi” dell’Herculanense Museum allestito da Carlo di Borbone nella Villa Reale di Portici, in quattro armadi della sala che conteneva anche suppellettili di grande pregio (oreficerie, argenterie, gemme e cammei) venivano presentati già i materiali organici, tra cui tessuti e commestibili vari, dal pane alla frutta. I reperti seguirono il destino di tutta la collezione e furono trasferiti a Napoli, dove a partire dal 1816 si diede origine al Real Museo Borbonico. Furono qui nuovamente esposti in una sezione che riproponeva il nome di “Gabinetto degli oggetti preziosi”, in una “Stanza de’ cammei, pietre incise, oggetti di oro, argento, pitture antiche, musaici, commestibili ecc.”.
I reperti saranno a lungo al centro dell’interesse dei visitatori (“le quali cose tutte sono lo stupore e la
10 compiacenza degli eruditi osservatori”, G. Finati, 1817), esposti con varie risistemazioni fino all’ultimo allestimento nella sala del grande plastico, per essere poi purtroppo riportati in deposito dal 1989. Parallelamente a questa esposizione esisteva una sezione a Pompei nell’Antiquarium voluto da G. Fiorelli nel 1873, dove non poteva mancare una scelta di commestibili carbonizzati, tra cui cereali, fave, olive, fichi, noci, uova, oltre a 81 pani recuperati nel forno del pastificio di Modestus. La sorte di questa importante esposizione seguì la vicenda dello sfortunato edificio, prima bombardato nel 1943 e poi fortemente danneggiato dal terremoto del 1980 (e chiuso fino a oggi). I reperti non dispersi sono confluiti nel 1994 in locali climatizzati realizzati nell’an-tica direzione costruita nell’Insula Occidentalis da G. Fiorelli e qui sono ancora conservati, nel Laboratorio di Scienze Applicate.
Nell’ambito della mostra “Mito e Natura”, la Soprintendenza Pompei si è impegnata non solo con i prestiti di opere d’arte, manufatti e materiale organico, ma anche mettendo in programmazione una seconda tappa dell’esposizione, che avrà luogo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e negli scavi di Pompei, dove si allestiranno per l’occasione giardini e spazi naturali, riproponendo un paesaggio perduto che a Pompei come in nessun altro luogo può essere ricostruito con facilità, grazie agli straordinari resti paleobotanici o ai calchi di radici, diffusamente realizzati in passato. Per l’occasione saranno così riaperti al pubblico alcuni dei più celebri giardini delle domus pompeiane, come quello di Ottavio Quarto, grazie agli accurati restauri realizzati nell’ambito del Grande Progetto Pompei. Un ambizioso progetto riguarda anche il laboratorio dove sono conservati i reperti organici, destinato a divenire, oltre che centro di ricerca che ospita studiosi internazionali, un museo dove saranno esposti al pubblico gli straordinari materiali ora fruibili solo da specialisti, in particolare quei prodotti della natura che erano di uso comune nella cucina di prima età imperiale, a Pompei come nell’impero: cereali e legumi (farro, orzo, favino, veccioli, lenticchie), ortaggi e frutta (cipolle, melograni, fichi, noci, datteri).
Ambito di ricerca dove la natura è percepita nella sua dimensione estetica e il paesaggio interpretato come memoria fisica della storia, la mostra, nelle sue diverse sedi di Milano, Napoli e Pompei, offrirà una lettura unica della natura nel mondo classico: visione cosmogonica e mitologica, e insieme spazio vivo, palpitante della vita degli uomini.

Massimo Osanna, Direttore Generale Soprintendenza Pompei


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Ultima modificaLunedì, 10 Ottobre 2016 23:55
  • Data inizio: Mercoledì, 16 Marzo 2016
  • Data fine: Venerdì, 30 Settembre 2016
  • Evento a pagamento:

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