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Claudio Palmieri Pagina barocca

Germinazione nel Salone BorrominiIn occasione di Rome Art Week 2019 giovedì 24 ottobre alle ore 17.00, nel Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana viene inaugurata la mostra Claudio Palmieri Pagina barocca a cura di Roberto Gramiccia. L'esposizione fa parte del progetto OPERA 00 20 a cura di Paola Paesano. Scrive il curatore:"L'installazione di Claudio Palmieri che oggi presentiamo non avrebbe potuto trovare sede migliore. Pagina barocca ci è venuta in mente di intitolarla. Pagina, perché di pagine è fatta la storia, la storia dell'arte in particolare, e di pagine sono composti le migliaia di preziosi volumi che fanno da cornice alla grande opera dell'artista romano oggi collocata sul pavimento del Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana. Barocca, perché neo-barocco si può a buon diritto definire lo stile delle 29 sculture a terra che compongono l'insieme di struggente bellezza che fa mostra di sé proprio nella più barocca delle sedi possibili".

L’installazione di Claudio Palmieri che oggi presentiamo non avrebbe potuto trovare sede migliore. Pagina barocca ci è venuta in mente di intitolarla. Pagina, perché di pagine è fatta la storia, la storia dell’arte in particolare, e di pagine sono composti le migliaia di preziosi volumi che fanno da cornice alla grande opera dell’artista romano oggi collocata sul pavimento del Salone del Borromini della Biblioteca Vallicelliana. Barocca, perché neo-barocco si può a buon diritto definire lo stile delle 29 sculture a terra che compongono l’insieme di struggente bellezza che fa mostra di sé proprio nella più barocca delle sedi possibili. Il giardino di Claudio Palmieri, perché di un giardino si tratta, disorienta e attrae insieme per l’ardimento di un’operazione che fa del pavimento del grande e sontuoso salone, carico di storia, un campo fertile capace di produrre una germinazione azzurra di azzurri elementi botanici che della natura richiamano la forza vitale. Vitalismo, stupore, sfacciata estroversione, coraggio visionario, anomalia, bizzarria, insonnia, entusiasmo creativo, dismisura che ritrova un suo ordine miracolosamente, cultura ossimorica e rizomatica, prepotente decorazione che diventa sostanza e non orpello, espressione dionisiache di interne pulsioni, fisiologia dell’anima palpitante: non sono questi forse i caratteri del barocco? E non sono questi forse i caratteri di questa grande e unica scultura orizzontale che del barocco dimostra l’immortalità in una città come Roma, di cui l’opera di questa artista è fedele espressione?

Del resto per Palmieri è naturale rivolgere lo sguardo alla multiforme variabilità dinamica (dialettica) dell’esistente. L’insieme diacronico della sua opera è un elogio della complessità e della contaminazione. Usiamo quest’ultima parola con cautela perché essa sembra adombrare l’idea che mischiare ambiti diversi possa diffondere malintesi e ambiguità, prodotti dalla perdita di autonomia di ciascun segmento del fare e del saper fare. Le “contaminazioni” di Palmieri, invece, non solo non producono aporie ma provano a curare i mali contemporanei più grandi: la passività, l’anaffettività, la rassegnazione, l’apatia, il conformismo. L’ eclettismo è la sua vera cifra. Anche qui il termine va preservato dalle letture riduttive e maliziose. Tanto per spiegarmi con un esempio: eclettico era un artista come Savinio che frequentava pittura, musica e letteratura con uguale e altissima capacità. Anche Palmieri vive la sua riconoscibilità senza esserne ossessionato. Anzi la cifra più connotante del suo lavoro è proprio la reciproca confluenza dei fluidi della sua creatività entro un sistema di vasi comunicanti. La riconoscibilità delle sue opere coincide con la sua imprevedibilità e costante capacità di sorprendere. E così può accadere che “suoni” letteralmente le sue sculture, dialogando musicalmente con un grande jazzista come Maurizio Giammarco, alla ricerca di una sintesi originalissima fra il suo lavoro plastico e la musica del suo compagno di sperimentazione. La capacità di perseguire la sintesi è la magnifica ossessione che abita questo autore. Conciliare gli opposti. In un caso la fugacità aerea della musica con il peso e la densità della materia scultorea. In altri casi l’”organicità” e la “progettualità”, come lui ama dire. In pittura, la libertà dotatissima del suo gesto si accorda con la lucidità di un’intenzionalità tutta italiana, ora più rigorosa e geometrica -come quando il suo lavoro fu influenzato dal magistero di Filiberto Menna -, ora più libera, come nei paesaggi e nelle divagazioni floreali o cosmiche che sfuggono ai propri confini naturalistici per farsi natura, vera natura naturans. Un percorso, quello pittorico, partito dall’Attico di Sargentini nell’85 e poi continuato con successo a New York da Annina Nosei, per conoscere quindi il riconoscimento dell’invito alla Biennale di Venezia. In scultura, a partire dal 1987, l’impianto geometrico delle sue verticali “apparizioni metalliche” dipinte di nero riusciva ad accogliere la leggerezza e il calore di “fiamme cromatiche” (Achille Bonito Oliva) fatte di panneggi di seta e di velluto, ritrovando un equilibrio che sembrava impossibile. Insomma: un’”arte dialettica” che dello scontro fra la tesi e l’antitesi mostra la sintesi e cioè un esito formale quasi sempre sorprendente. Pittura e scultura praticate senza preferenze sin dagli esordi, che si affacciarono sulla scena dell’arte romana entro gli ambiti di sperimentazione di un gruppo di artisti (Limoni, Ragalzi, Luzzi e altri) che, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, qualcuno definì Scuola di Via del Paradiso (dall’indirizzo dell’Attico di Fabio Sargentini). Dopo aver usato le stoffe, la plastica, i metalli cotti, il marmo ma anche il legno e materiali poveri come il polistirene, Palmieri scopre la ceramica che ama definire la “materia del colore”, capace cioè di sussumere la pittura e il gesto amplificandone la flagranza. Si apre un nuovo capitolo. Dopo Burri e Fontana, il riferimento è Leoncillo e la sua inesauribile energia plastica. Prima di Burri e Leoncillo c’è in Palmieri quella che è stata giustamente definita la “reinterpretazione di una teatralità barocca”, ma anche l’attenzione all’Espressionismo astratto americano e all’Informale materico di Tapies e Fautrier. Ma c’è anche (forse soprattutto) una poetica consapevole, dolente ma non rassegnata che fa pensare ai sonetti del Belli e che alimenta un lavoro inteso (quasi) come unica salvezza, di cui Roma è l’inevitabile, dolente, pigro ma anche inebriante teatro.

Luogo: Roma, Biblioteca Vallicelliana
Indirizzo: Piazza della Chiesa Nuova, 18 00186 - Roma (RM)
Orario: vernissage 17.00 esposizione: lunedì 21 ottobre - venerdì 25 ottobre Lunedì, martedì, venerdì: 10.30-13.30; mercoledì: 15.00-18.00; giovedì: 11.00-14.00; 15.00-18.00.
Telefono: 06.68802671
Fax: 06.6893868
E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ultima modificaVenerdì, 18 Ottobre 2019 23:49
  • Data inizio: Lunedì, 21 Ottobre 2019
  • Data fine: Venerdì, 25 Ottobre 2019
  • Evento a pagamento: No

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